Il dibattito estivo sul caro vacanze e la diminuzione di presenze negli stabilimenti balneari italiani evidenzia un’anomalia: la scarsità di spiagge libere, in netto contrasto con la situazione di molti Paesi europei. In diverse località italiane, l’accesso gratuito al mare è limitato o inesistente. Rimini, ad esempio, presenta oltre il 90% di arenile in concessione a privati, con spiagge libere spesso ubicate in zone degradate o inagibili.
Secondo l’avvocato Roberto Biagini, presidente dell’associazione Mare Libero, le spiagge libere rappresentano un “ammortizzatore sociale”, garantendo l’accesso al mare a tutti. Uno studio di Unioncamere ha registrato 7.244 stabilimenti balneari a fine 2023, con Emilia-Romagna, Toscana e Liguria in testa. In regioni come Liguria, Lazio e Campania, l’85-90% delle spiagge è in concessione, mentre la Puglia presenta un modello alternativo, con una rotazione di spiagge libere e attrezzate ogni 200-300 metri.
La situazione italiana presenta un’anomalia giuridica: l’articolo 36 del Codice della Navigazione consente l’uso del demanio marittimo per fini imprenditoriali, ma in Italia questa eccezione è diventata la regola. Lo Stato ha la competenza sull’uso del demanio, ma le Regioni gestiscono la pianificazione, fissando in alcuni casi percentuali minime di spiagge libere (es. 60% in Puglia, 50% in Sardegna). Tuttavia, queste indicazioni spesso non vengono rispettate dai Comuni.
A livello europeo, la situazione è diversa. In Francia, l’80% delle spiagge è libero, mentre in Spagna e Portogallo le concessioni non esistono. Il mancato recepimento della direttiva Bolkestein (2006) contribuisce al problema. Questa direttiva, pur non imponendo spiagge libere, richiede gare pubbliche per le concessioni, un aspetto ancora irrisolto in Italia, nonostante le procedure di infrazione. L’ultima proroga alle concessioni, fino al 30 settembre 2027, ha generato ulteriori controversie, con sentenze che ne hanno disapplicato la validità.
Un ulteriore aspetto critico riguarda i canoni versati allo Stato dai gestori degli stabilimenti. Nonostante un fatturato di 31,9 miliardi di euro nel 2022 (dati Truenumbers), il gettito statale è stato di soli 115 milioni di euro, una cifra irrisoria. Anche la mappatura delle spiagge italiane si è rivelata problematica, con dati contestati dalla Commissione Europea per l’inclusione di aree non accessibili al pubblico.
Secondo Mare Libero e Legambiente, la soluzione passa da una legge nazionale che garantisca almeno il 50% di spiagge libere in ogni Comune. Soluzioni regionali come quelle di Sardegna e Puglia dovrebbero essere estese a livello nazionale, con un’azione anche da parte dei Comuni.